Intelligenza Artificiale: a che punto siamo? QuestIT intervista Piero Poccianti, Presidente AIxIA

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Tempo di lettura: 11 minuti

Che evoluzioni ci aspettano in campo IA e quale sarà l’impatto sulla società attuale, anche in campo etico? Ci abbiamo ragionato su, insieme all’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale

L’intelligenza artificiale sembra destinata a cambiare nel profondo la società in cui viviamo. Un futuro, più prossimo di quanto immaginiamo, che vede l’opinione pubblica dividersi in due: una parte ritiene che le nuove tecnologie, dai processi di automazione alla robotica, siano “i nuovi mostri ruba-lavori”; e l’altra che ha piena fiducia nel progresso, specialmente nel campo dell’intelligenza artificiale. La vera questione in corso non è tanto chi ha ragione o chi ha torto, in questo nuovo scenario tecnologico in cui si muoveranno interi Stati. Ciò che serve per rispondere sia ai più impauriti che ai fiduciosi è approfondire l’Intelligenza artificiale di per sé, che tipo di evoluzioni ci aspettano e, soprattutto, quale sarà l’impatto sulla società attuale, dal campo etico alle nuove prospettive di lavoro.

Lo abbiamo chiesto a Piero Poccianti, Presidente di AIxIA – Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale.

Piero Poccianti, Presidente di AIxIA

Come è cambiato lo scenario dell’IA dai primi modelli di apprendimento? Quale definizione darebbe all’Intelligenza Artificiale nel 2020?

L’Intelligenza Artificiale è la disciplina, appartenente alla branca della computer science, che consente alle macchine di svolgere attività che, se fossero svolte da un uomo, potremmo definire intelligenti. Il problema, però, giace proprio nel determinare cosa sia l’intelligenza umana. I modelli migliori dicono che non esiste un’unica tipologia di intelligenza, ma tante e diverse tra loro. Come l’Intelligenza Umana, quindi, anche quella artificiale racchiude al suo interno vari paradigmi ed è una materia con una lunga storia. Il termine viene infatti coniato ufficialmente nel ‘56 durante la conferenza di Dartmouth. Risultati significativi sono tuttavia precedenti a questa data. Nel 1943 viene descritto il neurone artificiale, nel 1950 viene pubblicato l’articolo di Turing, la cui domanda principale è “Ma la macchina può pensare?”. Da allora, abbiamo assistito a momenti di grande entusiasmo, conosciute come primavere, così come tanti momenti di delusione, chiamate invece inverni.

Oggi stiamo vivendo una primavera, soprattutto grazie agli avanzamenti delle reti neurali artificiali. Una branca del Machine Learning che, a sua volta, è una parte dell’intelligenza artificiale nella quale si sono ottenuti risultati significativi in passato ma, anche e soprattutto, al giorno d’oggi. Una data da citare è sicuramente il 1986, con la pubblicazione del libro PDP (Parallel Distributed Processing), da parte di un gruppo di esperti del MIT, grazie al quale vengono poste le basi per il Deep neural Network e descritti gli algoritmi per creare una rete neurale multistrato.
Di fatto, sono gli algoritmi che usiamo oggi e che hanno dimostrato grande valore dal 2005 in poi, soprattutto nel campo della percezione.

L’intelligenza artificiale è cambiata nel tempo, gli esperti tendono infatti a dividere i differenti progressi ottenuti nei diversi paradigmi in ondate. La prima grande ondata ha visto lo sviluppo del ragionamento, mentre la seconda, quella a cui stiamo assistendo oggi, è legata alla percezione che consente di effettuare diagnosi accurate, catalogazione di oggetti, fotografie, filmati, rumori e suoni imparando dagli esempi. La sfida del futuro sarà proprio l’integrazione degli strumenti della prima e della seconda fase.

Quanto sta investendo l’Europa in intelligenza artificiale? E in che cosa? Qual è invece la situazione in Italia?

Il piano di investimento previsto dall’Europa prevede di stanziare 20 milioni fino al 2020. Una somma irrisoria se comparata ai miliardi messi a disposizione da Stati Uniti e Cina. Solo per fornirvi un’idea: il DARPA, altro non è che l’agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, per lo sviluppo dell’AI, ogni anno, prevede fondi da 2 miliardi. In Cina, invece, si parla di 80 miliardi fino al 2030.

A livello internazionale, dunque, se il vecchio continente vuole emergere deve “fare squadra”. Iniziative che vanno in questa direzione ce ne sono molte, a tal proposito vorrei nominare il documento di strategia europeo che è stato chiesto agli stati di recepire. L’Italia è, oggi, l’unico paese in Europa che non ha ancora risposto. Un ritardo nazionale che si evince anche dai corsi universitari dedicati all’AI – se confrontati con le altre realtà europee. Basti pensare che in Germania saranno attivati 100 corsi di laurea sull’Intelligenza Artificiale, mentre Macron in Francia parla già di 200 indirizzi, in l’Italia invece se ne contano solo 5 attivi. Il nostro è un paese che al di là delle iniziative del singolo, sia in termini di aziende che di volontà di ricercatori, sta investendo davvero poco.

Un altro aspetto che caratterizza la posizione dell’UE è l’attenzione verso le questioni etiche dell’intelligenza artificiale, intesa come i vantaggi che tale tecnologia può apportare all’umanità (AI for Humanity). A testimonianza di questo modus operandi, sono stati redatti diversi documenti che hanno coinvolto esperti delle commissioni europee, dai quali emergono linee guida rivolte alle aziende per un impiego corretto dell’intelligenza artificiale. A livello europeo sono inoltre nate due iniziative: Ellis, che punta a creare una congregazione di laboratori di eccellenza nel deep neural network e CLAIRE, un’iniziativa più omni comprensiva, rispetto alla precedente, che vorrebbe unificare i paradigmi dell’intelligenza artificiale. Sebbene l’Europa sia attiva e abbia deciso una sua linea di condotta in AI, deve iniziare a stanziare adeguate risorse in ricerca di base per non rimanere “schiacciata” tra America e Cina, due potenze mondiali che stanno investendo molto in questo campo.

Ellis (European Laboratory for Learning and Intelligent System) è un’iniziativa europea, in origine nata da una collaborazione Anglo-Franco-Tedesca, con una natura maggiormente verticistica, focalizzata sulla creazione di una rete di laboratori di eccellenza, principalmente impegnati nel machine learning.

CLAIRE (Confederation of Laboratories for Artificial Intelligence Research in Europe) è un network di ricercatori, laboratori ed associazioni scientifiche con obiettivi specifici, tra cui Investire sulla ricerca di base, puntando sull’integrazione dei diversi paradigmi dell’AI; costituire un’infrastruttura Europea a sostegno di una rete di laboratori che supportino lo sviluppo di ricerca industriale anche nelle Pmi; promuovere lo studio interdisciplinare degli impatti sociali, economici e ambientali in modo da esaltare i benefici ed evitare effetti distopici. AIxIA è stata la prima Associazione italiana ad aderire al network, mentre l’Italia è stato il primo governo a patrocinare il CLAIRE e, durante il governo Conte I, l’allora sottosegretario di Stato al Ministero dello Sviluppo Economico Andrea Cioffi ha siglato la lettera di supporto.

Secondo l’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, sembra che il vero sprint per cambiare il futuro del proprio business arriverà dagli assistenti vocali e dai robot in ambito industriale, tecnologie in grado di generare oltre 60 milioni di euro e di creare, in quasi 15 anni, quasi 5 milioni di posti di lavoro. Stiamo utilizzando il termine dipendente virtuale per definire un software che ci affiancherà a livello tecnologico nel lavoro. In che modo può essere accettato dall’opinione pubblica e nel senso comune con una valenza positiva piuttosto che come un rivale nell’ambito dell’occupazione?

Il Politecnico di Milano, che sta preparando la nuova ricerca, in pubblicazione quest’anno, denuncia il fatto che l’Italia sia indietro. Dall’indagine emerge che le aziende affermano di sapere cosa sia l’intelligenza artificiale, ma in realtà non lo sanno. Un altro aspetto che si evince è la visione limitata che riguarda solo gli assistenti vocali e i robot in ambito industriale. Sicuramente quest’ultimo è un mercato più semplice da sviluppare e che ha visto una crescita esponenziale. Un settore nel quale non c’è infatti bisogno di investire in hardware – dovendo solo sviluppare dei software. Per quanto riguarda i robot, invece, la penetrazione è sicuramente più lunga visto che è necessario non solo sviluppare l’hardware ma anche investire volumi maggiori. Il problema dell’opinione pubblica? Il Politecnico ha una visione molto ottimista sui posti di lavoro. Certo, la maggior parte degli studi sull’impatto dell’intelligenza artificiale afferma che le macchine sapranno fare più cose degli umani, una dichiarazione che sicuramente spaventa, esposta in questo modo. In generale, possiamo osservare che esistono due opinioni discordanti tra loro – che devono essere tenute in considerazione con cautela visto che non sono supportate da studi. La prima è che aumenterà la disoccupazione perché le macchine svolgeranno le nostre attività; la seconda è che in qualche modo l’economia ripartirà, il Pil crescerà e l’intelligenza artificiale porterà a un rilancio dell’economia e, di conseguenza, vi sarà un aumento dell’occupazione. La mia sensazione è che la colpa della disoccupazione non sia delle macchine. Costruiamo macchine da sempre e sapete perché? Per cercare di lavorare di meno, altrimenti avremmo inventato la ruota quadrata! Il problema è che abbiamo un’economia in cui ancora si crede, da oltre due secoli, che le risorse scarse siano il capitale e il lavoro. Niente di più sbagliato: le risorse scarse sono quelle ambientali, di capitale ne abbiamo in abbondanza ma è concentrato in mano di pochi, purtroppo. Il lavoro non può essere l’unico elemento per aumentare il reddito.
Affermava Keynes, “I miei nipoti dovranno lavorare non più di 15 ore la settimana, altrimenti il sistema economico entrerà in crisi”.

John Maynard Keynes è un economista britannico, che durante una conferenza a Madrid nel 1930 ha affermato: “I miei nipoti dovranno lavorare non più di 15 ore la settimana, altrimenti il sistema economico entrerà in crisi”. Da qui nasce poi un approfondimento intitolato “Possibilità economiche per i nostri nipoti”, http://www.redistribuireillavoro.it/assets/prospettive.pdf

Cosa voglio dire? Che il vero problema è distribuire più equamente il capitale e questo non dipende di certo dalle macchine. Una difficoltà che riguarda però il modello economico non più adeguato. Dobbiamo cambiarlo pensando in un’ottica di economia circolare, volta ad incrementare la sostenibilità e in grado di provvedere per 9 miliardi di persone entro pochi anni. In futuro, non sarà problematico solo sfamare la popolazione mondiale ma anche fornirgli lavoro. Nell’ultimo documento dell’Unione Europea, infatti, viene evidenziato come non siamo ancora in grado di prevedere se ci sarà disoccupazione o aumento dell’occupazione. Il vero problema, a monte di tutto questo è, e lo sarà ancora per diverso tempo, la disuguaglianza. Questo livello di iniquità oggi non è più accettabile. C’è da ripensare all’economia in termini sostenibili, da tutti i punti di vista e l’intelligenza artificiale è uno strumento indispensabile per farlo. Pensate ai 17 obiettivi dell’ONU. Certo, serviranno molti anni, ma senza l’intelligenza artificiale e un pizzico della nostra capacità di ragionare non li raggiungeremo mai.

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Affrontando il tema dell’etica, quali obiettivi dobbiamo porci per un utilizzo intelligente delle nuove tecnologie?


Avrete capito che se non cambiamo il modello economico, difficilmente otterremo gli strumenti etici. Noi pensiamo all’etica in modo molto generale, le leggi di Asimov possono essere un buon archetipo, partendo dalla prima legge della robotica e andando avanti con le successive.

 Isaac Asimov è stato uno scrittore e biochimico sovietico naturalizzato statunitense. Fu autore di numerosi romanzi e racconti di fantascienza e di volumi di divulgazione scientifica, la sua produzione è stimata intorno ai 500 volumi pubblicati, incentrata non solo su argomenti scientifici, ma anche sul romanzo poliziesco, la fantascienza umoristica e la letteratura per ragazzi. Alcuni romanzi e racconti di fantascienza hanno avuto trasposizioni cinematografiche.

Secondo la Prima Legge della robotica, “Un robot non può recar danno a un essere umano e non può permettere che, a causa di un suo mancato intervento, un essere umano riceva danno. Seconda Legge della robotica. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.”

Consideriamo questa situazione ipotetica: un robot che dà una caramella ad un bambino. Regalare una caramella viene vista, in generale, come una buona azione, ma se il bimbo è diabetico è un problema. Quale comportamento, allora, può essere considerato etico se adottato da una macchina? Bisogna necessariamente conoscere il contesto. Un discorso valido e che si può applicare anche alla situazione lavorativa. Riflettiamo quindi sull’occupazione, la definizione di persona occupata che ci viene fornita a livello europeo è la seguente: se un individuo nell’ultima settimana ha lavorato e ha preso lo stipendio per un’ora allora è considerata occupata; ed è considerata occupata anche se ha lavorato un’ora per impresa familiare e non ha ricevuto nemmeno lo stipendio. Credete sia un indicatore adeguato? Noi traiamo soddisfazione dall’occupazione, ma è anche fonte di sostentamento per la propria famiglia. Ecco perché se non cambiamo gli indicatori e non li miglioriamo grazie all’AI, non ci riusciremo mai. Questo è un problema enorme anche dal punto di vista dei costi, poiché quello che noi intendiamo come valore monetario non è reale ma dobbiamo anche tenere in conto l’impatto ambientale e, se così fosse, Amazon avrebbe sempre il conto in rosso.

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Qual è il valore aggiunto che possono dare le start up e il tessuto accademico della ricerca italiana al mondo dell’IA, considerando i grandi investimenti di aziende come Microsoft, Google, ecc… Ci può essere un’innovazione che non passi solo dai GAFAM, in grado di portare innovazione alle imprese e non solo ai grandi colossi? In che modo una piccola azienda può essere veicolo di innovazione e come i brand possono dare un contributo sia in termini di finanziamento che di disponibilità di informazioni e dati?

AIxIA è promotrice dell’AI Forum, giunto alla sua seconda edizione che è in programma a Milano per il 3 aprile presso Palazzo Mezzanotte. Questa iniziativa è un tentativo di mettere insieme start-up, aziende e ricerca, cercando di far capire come questi mondi debbano lavorare in modo sinergico per riuscire a fornire valore al sistema Paese. A causa della comunicazione sull’AI, le aziende di oggi si aspettano che premendo un bottone possano ottenere una soluzione pronta all’uso. Nella realtà, è necessario ideare insieme progetti comuni. L’Europa ha un tessuto industriale e imprenditoriale completamente diverso sia da quello americano, dove le grandi aziende fanno da padrone, sia da quello cinese in cui lo Stato impone delle regole che forse noi non potremmo sopportare. In entrambi i casi comunque i governi cercano soluzioni rivolte alle piccole aziende affinché riescano a sopravvivere. L’Europa è invece costituita da piccole e medie aziende, l’Italia da micro aziende. Ecco che le start-up, le PMI e le micro aziende devono necessariamente, oggi più che mai, adottare strumenti di intelligenza artificiale. L’obiettivo deve essere quello di costruire collaborazioni forti, perché – pur non presentando grandi aziende multinazionali – possiamo muoverci in un panorama all’avanguardia in grado di offrire ottime soluzioni e idee che non devono morire perché “fagocitate” dai player internazionali. Dobbiamo salvaguardare le nostre risorse e costruire una rete tra aziende, piccole, medie e micro, fornendo gli strumenti per essere più resistenti. Tutto ciò va fatto partendo dal concetto che non ci sono prodotti “a scaffale” nel campo dell’intelligenza artificiale, ma bisogna ideare progetti e, per farlo, è necessario fare squadra. Un altro importante fattore in gioco è il modello infrastrutturale: le multinazionali stanno parlando principalmente di cloud presentandolo come unica soluzione al problema. Questa architettura non è ideale: si pensi all’enorme quantità di dati a disposizione delle aziende e dei problemi di privacy che ne derivano. Non solo, in un contesto di scarse risorse ambientali, anche l’elaborazione di tutti questi dati aggrava il problema. Un esempio: oggi per addestrare le deep neural network le imprese consumano tanta energia quanto ne consuma la città di Boston in un mese. Dobbiamo differenziare, sia in termini di paradigmi che di infrastrutture, visto che oltre al cloud esistono l’Edge Cumputing e il Fog. Soluzioni che si possono tranquillamente adottare e modulare sulle esigenze e che quindi sono idonee anche per aiutare sia le start-up che le piccole e medie imprese.

Cosa possono fare le piccole medie imprese come QuestIT per cambiare lo scenario attuale?

QuestIT in questo senso si sta muovendo verso una direzione che è quella della collaborazione tra enti e imprese. Nata come startup, non è solo l’esempio di un profitto che funziona, ma il vostro punto di forza è soprattutto la capacità di fare ricerca, una prerogativa che avete nel DNA, quella di mettere insieme i vari paradigmi di intelligenza artificiale. Il vostro valore è aver trovato persone pronte a investire su di voi, aziende di respiro internazionale, enti e imprese in Italia, e non è così facile.

Qual è il background condiviso a livello letterario degli appassionati di Intelligenza Artificiale? Quali letture consiglierebbe a chi sente nominare l’IA ormai da tempo e non ha un immaginario letterario di riferimento?

La nostra associazione ha in progetto di realizzare un fumetto sull’intelligenza artificiale. Ci vorrà ancora qualche mese ma alla base ci sarà una storia di fantascienza con dei collegamenti ad alcuni articoli divulgativi in grado di spiegare alle persone di cosa si sta realmente parlando. Per quanto riguarda i riferimenti letterari, mi sentirei di consigliarne alcuni anche se non alla portata di tutti. Un primo suggerimento è “Artificial Intelligence: A Modern Approach”, di Stuart J. Russell e Peter Norvig; oppure “L’algoritmo definitivo”. La macchina che impara da sola e il futuro del nostro mondo, di Pedro Domingos. Sono solo alcuni dei testi di stampo scientifico e alla portata di uno studente universitario o di un curioso. Ma per capire meglio cos’è l’AI, spesso ci si rivolge alla fantascienza. Io mi sono appassionato leggendo “La Luna è una severa maestra”, Robert A. Heinlein. Ma anche tutto “Il ciclo dei Robot” di Isaac Asimov è una lettura interessante e non scontata. Asimof era uno scienziato e nei suoi racconti analizza la scienza e la tecnologia da un punto di vista interessante e per niente banale. Altri due libri che consiglio, facili da leggere con ragionamenti più impegnati, sono “Robot fra noi” di Illah Reza Nourbakhsh e “Post-humans. Verso nuovi modelli di esistenza”, di Roberto Marchesini.

Piero Poccianti durante il convegno "Artificiale non troppo artificiale"

Il profilo di Piero Poccianti
Classe 1954, dopo aver frequentato fisica all’Università di Firenze, dedica la sua vita professionale all’informatica fin dal 1970. Nel suo percorso aziendale ha sviluppato sistemi di cartografia tematica, controllo di processo e automazione industriale. Dal 1980 lavora presso il Gruppo MPS in ambito informatico. Si è occupato dei progetti di sportello, di Internet Banking e di innovazione, realizzando anche applicazioni di Intelligenza Artificiale. Dal 2000 fa parte del Direttivo dell’Associazione Italiana di Intelligenza Artificiale e da dicembre 2017 è il Presidente dell’Associazione.

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